mercoledì 6 luglio 2011

due

Il problema di un ospedale sempre chiuso, come questo, è che quando serve un medico, quello non c’è mai.

domenica 21 novembre 2010

Uno

Un respiro profondo a ricacciare i cattivi pensieri.
L'attimo dopo è attesa di partire, una frontiera incerta di piacere vecchio e nuovo, di un più recente vuoto e di quel pieno che ricordi così bene.
Vorrei essere chiaro fin da subito per non trarre in inganno: io non ho ben chiaro di cosa vorrei scrivere, nè se poi sia davvero scrivere la finalità vera di queste righe.
In fondo, scrivere ho già scritto. Di quel blog, dell'ALTRO blog, credo sia sufficiente sapere che c'è stato ed ancora c'è, impolverato e puzzolente di chiuso da qualche parte nella rete.
Scrivere ho già scritto e poi ho smesso.
Perchè?
Meglio dire "quando": quando il desiderio che la scrittura fosse altro da una semplice passione, che divenisse la mia professione, è diventata una questione di vita o di morte. Mica dico per scherzo, sapete? Sul serio: di vita o di morte. E non c'erano alternative, o quello o nulla. T'accorgi presto che il nulla è sorprendentemente più rapido di qualunque sogno, più agile ad infilarsi nelle pieghe della vita quotidiana dove il rischio di veder zoppicare i desideri è molto alto. Se ti trova scoperto è un attimo.
Così ho smesso, quel fare piacevole che ricordavo, quelle ore spensieratamente rubate al sonno, avevano assunto i contorni di un vicolo cieco.
Ieri ho aperto questo spazio, e va a capire perchè e cosa ci sia di diverso da qualche giorno prima.
Oggi sì e, zitto zitto, evito domande e vado.
Perdonate i contrasti, ma immagino queste pagine come un gioco di solitudine e relazione, di musica e silenzio, di righe gettate e lunghe riletture, di vanità e cautela.
Di complessità ed ordine.
Un ospedale per pensieri rotti.
Per brevità chiamiamolo blog.